Un suggestivo mondo fiabesco è racchiuso in un angolo di Roma a nord del centro storico. Troppo piccolo per essere considerato un vero e proprio quartiere, Coppedè è un luogo delle meraviglie appena uscito da un sogno. Fate, castelli e creature immaginarie sono di casa in questi pochi isolati, dove le fantasie più selvagge di un architetto sono state trasformate in realtà.
Lo stile dell’architetto Gino Coppedé lascia sbalorditi. Morto nel 1927, veniva da una famiglia di geniali artisti fiorentini; il padre gli trasmise la passione dell’incisione che lui trasportò nell’architettura e con la quale giocò applicandola ai materiali più vari, dal legno al ferro, alla pietra, deformandone la linearità, gonfiandola, aguzzando le sue parti piane, smussandone gli angoli. Gli edifici escono fuori da ogni schema stilistico convenzionale, sono l’espressione della brillante immaginazione del Coppedè, trasformata in un tributo allo stile barocco romano con influenze del Medioevo e del Rinascimento. L’effetto è quello di sorprendere e deliziare lo spettatore con dettagli in ghisa, marmo, vetrate, mosaici e smalti.
L’entrata principale è sotto un solenne arco da cui pende un enorme lampadario in ferro battuto che unisce le due alte torri asimmetriche del Palazzo degli Ambasciatori. Gli straordinari edifici del quartiere non sono aperti ai visitatori, ma possono comunque essere facilmente ammirati dall’esterno. Sbirciando attraverso le bifore s’intravedono le volte raffinate del soffitto e si ammirano le logge che sembrano far vibrare le pareti di travertino. Subito colpisce il Villino delle Fate di piazza Mincio, un insieme di edifici dove sulle facciate si trovano stemmi delle città italiane, logge rinascimentali, torrette e archi medioevali, immersi in fitto giardino nascosto da un muro di cinta.
In perfetto stile Art Nouveau è il Palazzo del Ragno ricco di simboli e allegorie come il mascherone, abile imitazione dell’arte statuaria assiro-babilonese. L’enorme facciata riporta il mosaico di un ragno, spettacolare soprattutto di notte.
Al centro della piazza si trova la frizzante Fontana delle Rane, icona del quartiere perfettamente amalgamata con gli edifici circostanti. Costruita nel 1927, è adornata con rane che bevono dal bordo delle piscine superiori e grandi conchiglie supportate da coppie di figure inginocchiate.
C’è chi ritiene che i tanti mascheroni che esprimono acredine, ostilità e gli stessi animali vogliano significare l’esasperazione di Gino Coppedè per le numerose critiche alla sua opera. Gli avversatori parlavano di ciarpame, di anticaglie, di bric à brac architettonico unico a Roma: i fabbricati riproducenti approssimativamente un castello medievale, una villetta svizzera e una casa vittoriana, creano una confusione di stili improbabile che non danno un senso architettonico. Invece il quartiere possiede una originale signorilità ed eleganza, con una speciale atmosfera che cambia secondo i momenti della giornata: romantica e fiabesca di giorno, gotica e misteriosa di notte, per questo si crede che nella piazza si incontrino le streghe.
Bisogna ricordare poi che l’architetto Coppedè era un uomo del suo tempo e massone dedito all’esoterismo. L’approccio al suo stile svela un mondo ricco di simboli, un mondo fantastico dove suggestivi dettagli sono la firma lasciata sulla sua opera. Studioso di esoterismo, nel realizzare il suo quartiere ha tracciato un vero e proprio percorso iniziatico rappresentando i simboli della tradizione massonica: allegorie, miti e architetture s’incontrano in ogni angolo creando quella misteriosa suggestione che lo rende uno dei luoghi più insoliti di Roma.
Una testimonianza ancor più antica, avvolta dal mistero e legata a leggende popolari è La Porta Alchemica di Piazza Vittorio Emanuele, detta anche Porta Magica. I simboli esoterici incisi sugli stipiti, sull’architrave e sulla soglia pare che svelino la formula per ricavare l’oro. Questa porta e ciò che resta della villa sull’Esquilino del marchese Massimiliano Palombara di Pietraforte, che la acquisto nel 1620 da Alessandro Sforza. Il marchese era uno dei maggiori alchimisti del Seicento impegnato a lavorare per il raggiungimento della pietra filosofale. Narra la leggenda che un suo adepto a seguito di numerosi esperimenti, fosse riuscito a trasformare il piombo in oro. Ma una notte improvvisamente scomparì attraversando la porta, lasciando le pergamene con complesse formule che nessuno fu in grado di interpretare e che Massimiliano Palombara fece incidere sulla porta d’accesso del suo laboratorio. La villa fu demolita alla fine del secolo perché fossero realizzate alcune importanti costruzioni del rione come la stazione Termini e alcune piazze. La porta allora fu smontata e sistemata prima nei magazzini comunali e poi a piazza Vittorio, dove le furono affiancate due statue raffiguranti dei egizi.
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Foto Stefania Mezzetti
Fonte viaggivacanze.info